Entrare in casa Ponti significa ricostruire un paesaggio culturale e umano unico. Dove Sinisgalli e Cantatore raccontavano “esotici” aneddoti dal Meridione d’Italia. E De Chirico litigava per una fetta di Mont Blanc… (da Icon Design 11/2017 – foto Mattia Balsamini)

A due passi dall’arco della Pace a Milano, in un luogo dove pare essersi fermato il tempo, vive lisa licita Ponti, classe 1922. occhi grandi, vivaci, di un azzurro limpido come l’acqua. Ci saluta con un sorriso caldo e accogliente. lei, figlia del grande Gio Ponti, ha respirato cultura, arte, architettura e design fin da piccola, cono- scendo direttamente i grandi protagonisti del novecento. Ma com’era la vita con Gio Ponti? «lui non si occupava mai di noi» racconta lisa. «Un giorno voleva venire a prenderci a scuola. È andato al liceo Manzoni… noi da anni eravamo al Beccaria. Questo, però, da un certo punto di vista è stato un bene: non c’era l’impressione che la scuola fosse una cosa pesante o un dovere. a casa Ponti la scuola non interessava perché gli interessi e i divertimenti pontiani erano altri. Più intensi. nessuno chiedeva che voti prendessimo. noi dovevamo semplicemente non essere bocciate, per non dar fastidio con problemi scolastici». Il clima in casa era sempre allegro: Gio e Giulia Ponti tenevano tantissimi ricevimenti. «Per noi era naturale essere circondati da artisti: da bambine ci piaceva molto Giorgio De Chirico, quando veniva era per noi una festa: lui era golosissimo e noi pure. Ci intendevamo su questo. non su questioni di estetica:

la nostra intesa era sulla panna montata. E poi aveva un’aria trasognata… parlava poco, ma era affascinante. Ricordo anche che ci piaceva ascoltare il poliedrico poeta lucano leonardo Sinisgalli e il pittore pugliese Domenico Cantatore. Erano giovani e non ancora famosi. Venivano lì a cena e raccontavano episodi di costume di un Meridione che, allora, appariva a noi tutti un mondo remotissimo…».

Gio Ponti lavorava sempre, durante il giorno, e lisa amava disegnargli accanto. «Mio padre apprezzava i miei disegni. Così ha iniziato a darmi degli incarichi come sua aiutante: se lavori con Gio Ponti, puoi solo essere un suo assistente», dice lisa. l’unica che riusciva a contrastarlo era la madre, Giulia: «Se lui diceva di fare una cosa, lei faceva il contrario». Gio Ponti aveva il culto della bellezza, amava i fiori. a Giulia, invece, interessava la violenza vitale dell’innesto. Secondo lei il fiore era il momento più debole, più effimero. lui era dionisiaco, lei vitalista.

«E io slittavo fra i due: capivo che lei era più forte. Mio padre spesso ci chiedeva: Bambine com’è la mamma? noi dovevamo rispondere: nobile. E il papà? Plebeo!».

Lisa, dopo essersi laureata in Filosofia, indirizzo di Estetica, inizia la sua avventura con il padre, prima a Stile e poi a Domus. «allora la gente viaggiava poco, era difficile e costoso. l’intuizione geniale di Gio Ponti è stata quella di capire che il magazine avrebbe potuto sostituire i viaggi. Domus è stata la prima rivista di architettura a puntare sulle immagini: a piena pagina e con i testi ridottissimi. tutti la capivano e la volevano. Così sono iniziati ad arrivare i collaboratori spontanei: come gli Eames e Sottsass che viaggiavano spesso e ci mandavano le loro fotografie senza alcun compenso. E gli artisti inviavano i loro contributi. tutti si divertivano. Il segreto è stato proprio questo: riuscire a fare una rivista bella senza fatica».

Non esistevano obblighi o contratti: gli articoli uscivano in maniera spontanea. Come durante le serate con Mario e Marisa Merz dove le idee più belle nascevano mangiando in trattoria. «Il divertirsi insieme è stata la chiave del successo di Domus». E anche lisa, armata della sua Has- selblad, girava il mondo: «Una volta sono andata a Helsinki, da tapio Wirkkala. Volevo conoscere alvar aalto, un tipo solitario e poco socievole: a quell’epoca stava progettando il piano della città. Siamo andati nel suo studio, immenso: ma lui non c’era. In compenso era presente il suo assistente: un finlandese che parlava un inglese quasi incomprensibile ed era anche balbuziente. tapio ridendo mi ha detto: Scommetto che l’ha fatto apposta: così la gente si stufa e se ne va prima…!». tutto era vissuto come un gioco, un divertimento: leggero e profondo al tempo stesso. Così come gli incantevoli disegni di lisa dal tocco quasi infantile: una scansione filiforme del segno, accompagnata, a volte, da parole, come fossero filastrocche o brevi poesie. Ma lisa sorvola, è una donna che rifugge la propria celebrazione con sincera modestia: «la luna quando è colpita da una luce forte, diventa luminosa di riflesso. Ecco: io sono nata in un luogo popolato da bellissimi soli e sono stata colpita dalla loro luce».